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GALLERIA CAMPARI PRESENTA “SINCE OUR STORIES ALL SOUND ALIKE” DI SÁRI EMBER

Galleria Campari

Si intitola “Since our stories all sound alike” (Poiché le nostre storie sembrano tutte uguali) ed è la prima mostra personale in Italia dell’artista ungherese Sári Ember, vincitrice della prima edizione del Campari Art Prize, nato dalla collaborazione con Artissima in occasione della ventiquattresima edizione della Fiera. Un percorso sviluppato secondo l’uso del colore e del design, dove Ember stimola lo spettatore nel porsi cruciali domande sul ruolo, l’influenza e la dipendenza che gli oggetti hanno assunto all’interno della nostra società secondo una libera interpretazione personale.

Galleria Campari - Sàri Ember

Galleria Campari – Sàri Ember Red head with eyes 2018, paper collage, 20×15,5 cm courtesy of the artist and Ani Molnár Gallery

Sári Ember, classe ’85 e origini ungheresi, lavora sulla ricerca della dimensione comunicativa ed esattamente sul potere evocativo del racconto mixando metodi e materiali per “costruire un’archeologia del contemporaneo”. Un universo che l’ha portata a vincere il Campari Art Prize 2017 e ora, grazie a Galleria Campari e Artissima, presenta la sua prima personale in Italia all’interno del centro di ricerca e produzione culturale che sorge negli spazi dell’ Headquarters del Gruppo Campari. Un ambiente museale che deve la propria forza all’unicità e alla ricchezza dell’archivio storico, un giacimento culturale trasversale, che raccoglie oltre 3.000 opere su carta, soprattutto affiche originali della Belle Époque, ma anche manifesti e grafiche pubblicitarie dagli anni ‘30 agli anni ‘90, firmate da importanti artisti come Marcello Dudovich, Leonetto Cappiello, Fortunato Depero, Franz Marangolo, Guido Crepax e Ugo Nespolo; caroselli e spot di noti registi come Federico Fellini e Singh Tarsem; oggetti firmati da affermati designer come Matteo Thun, Dodo Arslan, Markus Benesch e Matteo Ragni. Quello della Galleria Campari ed il suo progetto avviato nel 2010 in occasione dei 150 anni di vita dell’azienda, è un museo di nuovissima concezione: uno spazio dinamico, interattivo e multimediale, interamente dedicato al rapporto tra il marchio e la sua comunicazione attraverso l’arte e il design con l’obiettivo di supportare anche i talenti e, dal 23 maggio al 9 settembre 2018 è pronta ad accogliere “Since our stories all sound alike” di Sári Ember.

L’esposizione, curata da Ilaria Bonacossa, direttrice di Artissima, con Michela Murialdo, presenta una serie di opere inedite in ceramica, pietra e marmo, che per tratti e forme evocano volti, busti e maschere, creando un’aura magica custode di ricordi, identità perdute e portatrice di storie personali e collettive. Traendo ispirazione da un verso di Sin of Pride1, del poeta americano John Koethe, l’artista riflette sull’importanza della storia e sulla necessità che l’uomo ha di raccontarla e rappresentarla, perché possa essere ricordata e tramandata nel tempo. Grazie a una sottile e raffinata capacità narrativa insita nel suo lavoro, l’artista, partendo dalla propria storia personale, disegna il vissuto della collettività e della tradizione europea, riportandola all’interno della dimensione museale. La peculiarità del lavoro di Sári Ember si esplicita nel dare nuova forma e significato agli oggetti del nostro quotidiano, spingendoci a osservarli con occhi infantili, per scoprirne valori nascosti e nuove profondità. Servendosi della fragilità della ceramica l’artista rievoca l’intimità della sfera familiare, così come attraverso la pietra e il marmo evoca il rapporto tra il presente e il passare del tempo e le sue trasformazioni. Come spesso accade nei lavori dell’artista, l’ambiente espositivo diventa uno spazio fondamentale di riflessione e immaginazione nel quale Ember colloca le sue opere site specific in una sorta di dialogo segreto, quasi a suggerire che gli oggetti si animino in assenza di esseri umani.

Il percorso che vede protagonista “Since our stories all sound alike” si articola nello spazio dedicato alle mostre temporanee di Galleria Campari, dove un grande tendaggio ceruleo crea un’ambiente intimo, quasi domestico, che assume allo stesso tempo le sembianze di uno sfondo teatrale, un palcoscenico chiuso nel quale lo spettatore può entrare in confidenza con le opere che disegnano un giardino nascosto nel quale addentrarsi.

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