POLIFONIC: LA NOSTRA INTERVISTA A MARCO SALA
KULT Magazine, media partner di Polifonic per il secondo anno consecutivo, ha intervistato Marco Sala, co-fondatore del festival che anima la Puglia con la sua visione unica. Tra i protagonisti della line-up 2025 spiccano Mogwaa, NVST, Daniele Baldelli b2b Jolly Mare, Yas Reven e molto altro. Un viaggio tra musica elettronica, cultura e territorio. Nato dal desiderio di fondere paesaggio, suono e comunità, Polifonic è diventato molto più di un semplice festival. È una celebrazione della musica elettronica immersa nei luoghi più suggestivi della Puglia, capace di richiamare un pubblico internazionale attento alla qualità artistica e all’esperienza complessiva. Marco Sala, co-fondatore del progetto, ci ha raccontato come nasce un evento di questa portata, cosa lo rende unico, e quale visione guida il team ogni anno, tra sfide organizzative, evoluzione creativa e profondo radicamento culturale.

Polifonic non è solo un evento, ma un luogo mentale, una passione condivisa. Com’è nata l’idea di creare questo festival?
L’idea di creare Polifonic è nata in modo abbastanza naturale, da una serie di eventi che Michele Girone organizzava in Valle d’Itria. Un giorno, accompagnando un artista verso Bari, ci siamo fermati in una masseria per una pausa. Era un posto incredibile: due terrazze bellissime, una corte suggestiva… Ci siamo detti subito: “Qui bisogna fare assolutamente un festival”. All’epoca la Valle d’Itria non era ancora così nel mirino del turismo, ma sentivamo che il territorio stava crescendo, che aveva un’energia particolare. Così abbiamo pensato di abbracciarla, di valorizzarla.
Cosa significa il nome? A quale senso rimanda?
Il nome Polifonic è nato quasi per gioco, una sera di novembre del 2016. Eravamo a Monopoli, e ci siamo messi a riflettere su un nome che potesse avere un legame con il luogo. Abbiamo iniziato a giocare con il suono della parola stessa, Monopoli, Poli, Polifonic, e da lì è venuto fuori quasi naturalmente. Ci piaceva perché evocava subito un senso di pluralità, di varietà. Rimanda a più suoni, più voci, più sfumature. E infatti il festival ha sempre avuto questa idea alla base: non un genere unico, non qualcosa di nicchia, ma un’esperienza musicale trasversale, che abbraccia diversi stili della musica elettronica.
Perché avete scelto territori come Cisternino, Savelletri e Monopoli, per dare casa al vostro Festival estivo? Cosa contraddistingue queste località da altre in Italia?
Volevamo creare un’esperienza che andasse oltre il semplice evento musicale. L’idea era quella di non limitarci a un’unica venue. Cisternino, Savelletri, Monopoli… ognuna di queste località ha qualcosa di unico.
Qual è la filosofia che guida il festival? Qual è l’identità musicale che volete rappresentare?
La filosofia di Polifonic è sempre stata quella di creare un’esperienza a 360 gradi: non solo musica, ma anche arte, territorio e intuizione. Volevamo che il festival non fosse semplicemente un evento, ma un viaggio immersivo in cui le persone potessero entrare in contatto con la bellezza e l’energia autentica del luogo. È per questo che fin da subito abbiamo unito l’anima musicale a quella esperienziale, lasciandoci ispirare dal territorio e costruendo intorno ad esso un mondo coerente, curato e accogliente. A livello musicale, Polifonic si è sempre mosso in modo trasversale all’interno della scena elettronica.
Cosa rende Polifonic diverso dagli altri festival di musica elettronica in Italia o in Europa?
Prima di tutto, il territorio. La Puglia, e in particolare la Valle d’Itria, offre uno scenario naturale davvero straordinario: ulivi secolari, masserie immerse nella campagna, una terra ricca di storia, cultura e bellezza. Siamo tra i pochi festival in Europa a poter offrire un’esperienza open-air che può arrivare fino alle sei del mattino, in un contesto così autentico e suggestivo. Questo legame con la natura è una delle nostre carte vincenti. Polifonic è pensato come un’esperienza completa, che unisce musica, arte e cultura locale. Abbiamo sempre voluto che il festival non fosse solo “musica elettronica”, ma un vero e proprio viaggio sensoriale.
Com’è cambiato il festival dalla prima edizione a oggi?
Polifonic è nato come un boutique festival, con numeri contenuti e un’atmosfera molto raccolta. Le prime edizioni erano più intime, quasi familiari, ma curate nei minimi dettagli. Con il tempo, soprattutto dopo il periodo del Covid, il festival è cresciuto moltissimo, fino a raggiungere numeri da evento internazionale, con decine di migliaia di presenze nei vari giorni. Ovviamente questa crescita ha portato con sé dei cambiamenti, soprattutto a livello organizzativo e d’impatto, ma ciò che abbiamo cercato di mantenere sempre intatto è lo spirito originario: l’attenzione per l’esperienza del pubblico, la cura artistica, la qualità della proposta musicale e la bellezza degli spazi.
C’è stato un momento particolarmente difficile o significativo nel percorso di Polifonic? Qual è stato e cosa vi ha suscitato?
Assolutamente sì. Negli anni Polifonic ha sempre voluto farsi portavoce di messaggi sociali e culturali importanti. Per esempio, siamo stati tra i primi festival in Italia, già dal 2018-2019, ad abolire completamente la plastica monouso. Abbiamo anche spinto molto sulla mobilità sostenibile, introducendo collaborazioni con partner del settore automotive per promuovere l’uso di mezzi elettrici già a partire dal 2019. Fin dalla prima edizione abbiamo costruito un festival con un pubblico e un team molto trasversale, attento all’orientamento sessuale, religioso, etnico, e sempre impegnato a mantenere un buon equilibrio di genere.

In che modo selezionate gli artisti che suonano al festival? Come bilanciate artisti affermati e talenti emergenti?
La selezione degli artisti è uno degli aspetti che curiamo con più attenzione e dedizione. C’è un grande lavoro di ricerca dietro ogni booking.
Una delle caratteristiche che ci contraddistingue da sempre è proprio il bilanciamento tra artisti affermati e talenti emergenti. Cerchiamo nomi già consolidati nella scena, ma senza puntare su quelli troppo mainstream. Allo stesso tempo, abbiamo una vera passione per la scoperta. Gli emergenti che invitiamo sono spesso artisti che ci hanno colpito per originalità, qualità della musica che producono o l’energia dei loro set.
Come coinvolgete la comunità locale durante le giornate del Polifonic?
La comunità locale ha sempre avuto un ruolo centrale nel nostro festival. Polifonic coinvolge infatti molte persone del territorio, arrivando a
impiegare tra le 250 e le 300 unità durante i giorni dell’evento. Queste figure lavorano direttamente on site, e la maggior parte proviene proprio dalla Puglia o risiede nella regione. In questo modo, oltre a dare un supporto importante in termini di lavoro e occupazione, contribuiamo a creare un legame concreto tra il festival e la comunità locale. Un altro aspetto importante è la valorizzazione dei prodotti
e della cultura pugliese: per esempio, nella nostra food court prediligiamo fornitori locali, promuovendo il cibo e le tradizioni del territorio.
Quali sono le maggiori sfide nell’organizzare un festival oggi?
Una delle principali riguarda sicuramente l’aspetto burocratico. Un’altra grande sfida è quella economica, i costi delle forniture e della produzione del festival, dall’allestimento tecnico alle infrastrutture. Anche gli artisti hanno richieste economiche più elevate rispetto al passato. Gestire un festival oggi significa affrontare con attenzione sia gli aspetti normativi che quelli economici, mantenendo però sempre alta la qualità dell’esperienza per il pubblico.
Quanto è ed è stata importante la comunicazione e i social per farvi conoscere in tutta Europa?
La comunicazione e i social media hanno sicuramente giocato un ruolo fondamentale nel far conoscere Polifonic a livello europeo e internazionale. Tuttavia, il successo del festival si deve anche a caratteristiche intrinseche molto forti: l’identità inclusiva, la cura dell’esperienza, la qualità della line-up e la bellezza unica del territorio in cui si svolge, che è davvero un valore aggiunto e rende il festival speciale. Grazie anche al supporto di alcuni media partner, siamo riusciti ad amplificare questo messaggio e a raggiungere un pubblico sempre più ampio all’estero. Oggi abbiamo una presenza importante di spettatori da diversi paesi, con una partecipazione significativa dalla Francia, dal Regno Unito, dalla Germania, dal Belgio e dalla Svizzera, ma anche dagli Stati Uniti e dall’Australia.
Che musica ascoltate nel quotidiano?
Un po’ di tutto, purché sia di qualità. Riprendendo una famosa frase di Ibiza degli anni d’oro, potremmo dire che amiamo la buona musica elettronica, ma anche l’R&B, il pop e tanti altri generi. Non ci poniamo troppi confini: l’importante è che il suono sia interessante e coinvolgente. Personalmente, preferisco BPM un po’ più morbidi, meno frenetici rispetto a quelli tipici della musica da dancefloor, più adatti a momenti di ascolto rilassato.
Un artista che vorreste assolutamente avere sul palco di Polifonic in futuro?
Ci sono diversi artisti che avremmo voluto invitare fin dalle prime edizioni, ma purtroppo, nonostante invitiamo più di 50 artisti ogni anno, la selezione e il casting restano sempre limitanti rispetto a tutte le nostre idee e ambizioni. Tra quelli che ci piacerebbe molto avere sul palco ci sono nomi come Roger Murphy, Freddy Fresh, Jamiroquai e DJ Harvey. Sono artisti che rappresentano per noi grandi ispirazioni e che crediamo possano portare un valore enorme all’esperienza di Polifonic. Sicuramente continueremo a lavorare per riuscire a portarli al festival, perché ci piacerebbe davvero offrire al nostro pubblico questi grandi nomi e momenti memorabili.
Come si evolverà Polifonic nei prossimi 10 anni?
Credo che continuerà a evolversi cercando sempre di migliorarsi. Quest’anno, ad esempio, porremo molta attenzione al Main Stage, creando un setting completamente nuovo e innovativo. Nel corso degli anni immagino un festival sempre più automatizzato e tecnologico, con processi e show sempre più futuristici e curati nei dettagli. Naturalmente continueremo a lavorare per portare artisti di altissimo livello, mantenendo la qualità e l’esperienza che ci contraddistinguono. Inoltre, non pensiamo solo alla crescita qui in Puglia: le edizioni che organizziamo a Milano e in altre città europee cresceranno sicuramente, sia in termini di numeri sia di presenza e impatto. Polifonic vuole diventare sempre più un punto di riferimento internazionale, portando la sua identità e il suo spirito ovunque.
